Gesto di Umanita’.

Niepokalanów. Quadro dipinto dal ex prigioniero Mieczyslaw Kościelniak compagno di prigionia di Padre Kolbe. Fot. http://radioem.pl

Il 29 luglio 1941dal Campo di concentramento Auschwitz fuggi’ il prigioniero politico polacco Zygmunt Pilawski (n. 14156). Come rappresaglia per la fuga del prigioniero, il lagerfuhrer Fritzsch  decise di selezionare verosimilmente 15ostaggi, (è questa la cifra indicata nel registro del bunker) tra i detenuti del Blocco 14 come rappresaglia per la fuga del prigioniero e condannarli a morte per fame nel bunker del Blocco 11. Durante la selezione, il prigioniero politico polacco, Padre Francescano Maksymilian Rajmund Kolbe (n. 16670 usci’ dalla fila e chiese al Lagerführer Fritzsch di essere preso al posto del disperato prigioniero selezionato Franciszek Gajowniczek (n. 5659). Fritzsch, dopo una rapida discussione con padre Kolbe, fu d’accordo sullo scambio, soprattutto quando senti’ che Maksymilian Rajmund Kolbe era un sacerdote cattolico.

” L’ EVASO NON E’ STATO TROVATO. COME RAPPRESAGLIA PER LA FUGA DEL VOSTRO COMPAGNO, DIECI DI VOI MORIRANNO DI FAME. . . . LA PROSSIMA VOLTA, SARANNO VENTI.”  (Lagerfurher Fritzsch)

Frammenti di alcune testimonianze di compagni di prigionia di San Massimiliano Kolbe.

“[…] Dopo il lavoro, l’intero campo rimase sulll’attenti finche’ gli fu permesso di andare a dormire. Nessuno ebbe da mangiare. Ma il mattino seguente, dopo aver ricevuto soltanto caffe’, affrontammo un altro duro giorno di lavoro – tranne il blocco 14, a cui apparteneva il prigioniero mancante. Loro furono di nuovo messi sull’attenti, in pieno sole, per tutto il giorno. […] ” Władysław Siwek 

” […] Dopo la scelta dei dieci prigionieri, padre Massimiliano usci’ dalla fila e, togliendosi il berretto, si mise sull’attenti dinanzi al Comandante. Egli, sorpreso, rivolgendosi a padre Massimiliano, disse: “Che vuole questo porco polacco?”. Padre Massimiliano, puntando il dito verso Franciszek Gajowniczek, gia’ prescelto per la morte, rispose: “Sono un sacerdote cattolico polacco; sono anziano (aveva 47 anni), voglio prendere il suo posto, perche’ egli ha moglie e figli”.Pare incredibile che il Comandante Fritsch abbia tolto dal gruppo dei condannati il Gajowniczek ed abbia accettato l’offerta di padre Kolbe, e che non abbia piuttosto condannato tutti e due al bunker della fame. Con un mostro come quello, cio’ sarebbe stato possibile. […] ” Franciszek Włodarski 

„ […] Mi sembro’ che quell’occhiata non finisse mai e che fra un momento sarei stato chiamato… Ma no. Mi sorpassarono e scelsero qualcun altro. Cominciai a tremare per il sollievo. […]”Mieczysław Kościelniak

„ […] Il Lagerfuhrer Fritsch, direttore del Campo, circondato dalle guardie, si avvicino’ e comincio’ a scegliere nelle file dieci prigionieri per mandarli a morte. Indico’ col dito anche me. Uscii fuori dalla fila e mi sfuggi’ un grido: avrei desiderato rivedere ancora i miei figli ! Dopo un istante, usci’ dalla fila un prigioniero, offrendo se stesso in mia vece. Potei solo cercare di esprimere con gli occhi la mia gratitudine. Ero sbalordito ed afferravo a malapena quello che stava accadendo. L’immensita’ di tutto cio’: io, il condannato, avrei continuato a vivere e qualcun altro offriva volentieri e spontaneamente la sua vita per me… un estraneo. E’ sogno o realta’? […]”Franciszek Gajowniczek

„ […] Sentii la sua influenza con assai maggior forza, dopo l’avvenimento che aveva scosso il campo, cioe’ quando egli offri’ la propria vita per un altro prigioniero. La notizia dell’episodio si diffuse nel campo intero la notte stessa. Sono profondamente convinto che il comandante del campo permise che il prigioniero da lui scelto venisse sostituito da padre Kolbe, soltanto perche’ padre Kolbe era un sacerdote. Egli gli aveva chiesto chiaramente:”Chi sei?”. E, ottenuta la risposta, aveva ripetuto al suo compagno: “E’ un Pfaffe (un pretonzolo)”. E fu soltanto allora, che il comandante Fritsch disse: “Accetto”. Tale convinzione me la sono formata subito, nel campo, quando mi venne riferito lo svolgersi dell’accaduto. Il sacrificio di padre Kolbe provoco’ una grande impressione nelle menti dei prigionieri, poiche’ nel campo non si riscontravano quasi mai manifestazioni di amore verso il prossimo. Un prigioniero si rifiutava di dare ad un altro un pezzo di pane… ed ora era successo che qualcuno aveva offerto la propria vita per un altro prigioniero a lui sconosciuto”.Tutti i superstiti di Auschwitz testimoniano all’unanimita’ che, da allora, il campo divenne un luogo un po’ meno infernale. […]”Jozef Stemler

Fonti:

Processo : “Patavina seu Cracovien, Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Maximiliani M.Kolbe, Sacerdotis Professi Ordinis Fratrum Minor Conventualium”

PATRICIA TREECE – A Man for Others – Marytown Press

ANSELM W. ROMB, OFM conv – Authentic Franciscan – Marytown Press

RIP Campionessa Margaret Bergmann

Gretel Bergmann, competizione salto in alto in Germania anni 1930. Photo Credit: Greg Lambert

E’ deceduta oggi 25 luglio 2017 a 103 anni Margaret Bergmann, detta Gretel campionessa tedesca di salto in alto che fu esclusa in quanto ebrea dai Giochi Olimpici del 1936 a Berlino.

Era nata il 12 aprile 1914 in un piccolo comune del sud della Germania da una famiglia ebrea. Inizio’ da giovanissima a praticare diversi sport e ad ottenere discreti risultati. Nel 1931 partecipando ai campionati della Germania meridionale stabili’ un record nel salto in alto fissandolo a 1.51 metri. La sua carriera sportiva proseguiva nel migliore dei modi quando con l’avvento del nazismo nel 1933 tutto cambio’. Con le leggi razziali fu esclusa dal club dove era iscritta, lo stesso allenatore le comunico’ che era ospiste sgradita. La stessa Gretel ricordava che all’ingresso della palestra venne esposto un cartello che riportava la scritta:  “Ingresso vietato a cani ed ebrei”.

Il padre Edwin, così decise preoccupato per la situazione di trasferirsi con tutta la famiglia a Londra. Qui pote’ ricominciare ad allenarsi vincendo nel 1935 il Campionato d’Inghilterra fermando l’asticella a 1,55 metri.

La vittoria ebbe eco in Germania e nel mondo. Gia’ diversi stati minacciavano di boicottare le Olimpiadi nell’eventualità di un’estromissione degli atleti ebrei da parte del regime tedesco. A quel punto il regime decise di richiamare in patria Gretel, che un po’ titubante alla fine decise di tornare. Non venne agregata alla squadra tedesca e fu costretta ad allenarsi da sola. Nonostante questo il 30 giugno 1936, ad un mese dall’inizio delle Olimpiadi di Berlino eguagliò il record tedesco di salto in alto detenuto da Elfriede Kaun fermo a 1,60 metri.

Sembrava spianata la via verso le Olimpiadi quando il 16 luglio 1936 pochi giorni prima dell’inizio dei giochi verra’ esclusa dal regime nazista con una lettera dove era scritto: „Cara signorina Bergmann, ci dispiace comunicarle la sua esclusione dall’Olimpiade. Lei non è stata abbastanza brava e non può dunque garantire risultati. Heil Hitler!”.

Gretel delusa nel 1937 si trasferi’ negli Stati Uniti dove vinse ancora nei campionati del 1937 e 1938. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, dichiarera’ conclusa la sua carriera sportiva. Nel 1942 acquisi’ la cittadinanza americana.

Solo il 23 novembre 2009 a distanza di ben 73 anni, il record nazionale di salto in alto femminile, stabilito nel 1936 dalla Bergmann e che il regime nazista si era rifiutato di omologare, è stato ufficialmente riconosciuto.

RIP Gretel Campionessa nello sport e nella vita. Che la terra Ti sia lieve.

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Un piccolo raggio nelle tenebre

Siegfried (Viteszlav) Lederer – Fot. https.www.timetoast.com

Circa 800 furono i tentativi di fuga dal complesso di Auschwitz e solo 144 andarono a buon fine. Alcune di queste fughe avevano luogo anche grazie alla complicita’ delle SS. Le evasioni organizzate con la complicita’ delle SS comportavano tuttavia un enorme rischio; dietro ogni aiuto poteva celarsi un tradimento. Non fu il caso di quella dell’Ebreo Siegfried (Viteszlav) Lederer, internato ad Auschwitz dal ghetto di Theresienstadt e aiutato dal caporale SS Viktor Pestek , un Tedesco di origine romena il 5 aprile 1944.

Lederer, travestito da SS (la divisa gli era stata data da Pestek), lascio’ il Campo insieme alla SS Pestek. Riuscirono a raggiungere in treno Praga, eludendo il controllo di frontiera.

Lederer si introdusse nel ghetto di Theresienstadt e informo’ il locale Consiglio degli Anziani del destino che toccava agli ebrei deportati ad Auschwitz. Scrisse anche una relazione alla Croce Rossa Internazionale dove descriveva nel dettaglio lo sterminio degli ebrei a Birkenau. Passo’ poi nel movimento di resistenza ceca e sopravvisse alla guerra. Morira’ a 68 anni il 5 aprile del 1972.

Tragica invece fu la fine di Pestek, catturato dalle SS nei pressi del Campo di Auschwitz, dove era tornato per organizzare altre fughe di prigionieri e tentare di liberare la prigioniera ebrea Renée Neumannová di cui era innamorato.  Dopo crudeli interrogatori, venne fucilato l’8 ottobre 1944.

 

Frammento della testimonianza del ex deportato di Auschwitz Lederer Vítězslav Izrael circa la sua fuga:

“Nel giorno concordato dal corpo di guardia delle SS dal Familienlager (BIIb Campo per famiglie di Theresienstadt) ho visto lampeggiare tre volte una luce rossa. Era il segnale e a quel punto ho aperto la porta della baracca e vestito con la divisa da SS mi sono avviato verso l’uscita del Campo. Ho fatto il saluto nazista con il braccio alzato e attraversato il cancello del Familienlager. Il mio „Amico” Caporale SS Viktor Pestek che era di servizio mi ha aperto il cancello. Alla SS che lo ha sostituito nel turno di notte ha detto che sarebbe andato in vacanza. Siamo usciti dal Campo e siamo arrivati alla stazione ferroviaria di Auschwitz alle 20.30, giusto in tempo per saltare su un treno espresso.”

Il viaggio…

“… Ci portarono alla stazione. Qui ci attendeva il treno e la scorta per il viaggio. Eravamo 650 e i vagoni erano dodici: vagoni merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini, donne, bambini, compressi senza pietà, come merce di poca importanza, in viaggio verso il nulla.

Avevamo appreso la nostra destinazione: Auschwitz, un nome che – allora – era per noi ancora privo di significato.

Gli sportelli furono chiusi subito, ma il treno si mosse solo a sera. Viaggiava lentamente e dalla feritoia vedemmo gli ultimi panorami italiani. Guardavamo in silenzio ed io pensavo alla gioia che avrei provato al ritorno, quando avrei rivisto i primi nomi di città italiane.

Non sapevo che delle quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto avrebbero rivisto le loro case…”

Primo Levi

“Se questo e’ un uomo”

 

Cyla e Jerzy “Il destino ha deciso per noi…”

(AP Photo/Alik Keplicz)

Il 21 luglio 1944 Jerzy Bielecki (prigioniero politico polacco) camminava, indossando un’uniforme rubata delle SS, per le strade di Auschwitz, al suo fianco la sua innamorata (ebrea polacca)  Cyla Cybulska.

Le ginocchia tremavano dalla paura, cercarono di mantere la calma arrivando davanti alla guardia tedesca che dopo averli guardati pronuncio’ le miracolose parole „Ja, danke” (si grazie) e li lascio’ uscire dal Campo della morte verso la liberta’.

Era un detto comune fra i prigionieri di Auschwitz che l’unica via d’uscita dal Campo era attraverso il camino del crematorio. Loro erano riusciti attraverso „la porta laterale”.

Bielecki aveva 19 anni quando i tedeschi lo arrestarono con l’accusa di far parte della resistenza. Fu deportato ad Auschwitz con il primo trasporto del 14 giugno 1940 proveniente dalla prigione di Tarnow. Venne registrato con il numero 243 e inviato a lavorare nei magazzini dove ebbe la fortuna di „organizzare” cibo aggiuntivo che gli offri’ piu’ possibilita’ di sopravvivenza.

Dal 1942 iniziarono ad arrivare ad Auschwitz trasporti di massa di ebrei provenienti dai vari paesi europei. La maggior parte di loro, circa l’80%  all’arrivo fu inviato direttamente alle camere a gas e uccisi con il gas (sterminio diretto), una piccola parte registrata nel Campo (sterminio indiretto).

Nel settembre del 1943 Bielecki fu assegnato ad un magazzino dove veniva raccolto grano. Mentre un prigioniero gli spiegava il lavoro, si apri’ improvvisamente la porta ed entrarono alcune ragazze.

„Mi sembrava che una di loro, con capelli scuri mi strizzasse l’occhio. Era Cyla (Cybulska) che era stata assegnata al magazzino per sistemare i sacchi di grano” raccontava Bielecki sorridendo ricordando la scena.

La loro amicizia crebbe fino a trasformarsi in amore, in quanto il lavoro nel magazzino offriva loro la possibilita’ di stare soli per poter raccontare le loro vite, le loro speranze e sogni.

Cybulska, con i genitori, due fratelli e una sorella minore furono rinchiusi nel gennaio 1943 nel ghetto di Lomza (nord Polonia) e sucessivamente deportati ad Auschwitz-Birkenau. I genitori e la sorella furono immediatamente inviati alle camere a gas, lei e i fratelli furono registrati. Alla 22enne Cybulska le fu tatuato sull’avambraccio sinistro il numero 29558.

Di giorno in giorno l’amore tra i due ragazzi crebbe cosi’ come l’idea di Bielecki di pianificare una fuga.

Da un amico polacco impiegato nel magazzino dove venivano tenute le uniformi delle SS, ottenne un’uniforme completa da SS e un lascia passare. Utilizzando una gomma e una matita, cambio’ il nome dell’ufficiale segnato sulla divisa da Rottenfuehrer Helmut Stehler a Steiner nell’eventualita’ in cui la guardia conoscesse il vero Stehler. Si procuro’ anche del cibo, un maglione e degli stivali per Cybulska.

La informò del suo piano dicendole: “Domani una SS verra’ a prenderti per un interrogatorio. Quella SS saro’ io!”

Il pomeriggio successivo, Bielecki, vestito con l’uniforme rubata, ando’ alla lavanderia dove Cybulska lavorava e chiese al supervisore tedesco di consegnarli la donna in quanto doveva essere interrogata. Bielecki la porto’ fuori dalla baracca e insieme si incamminarono verso un cancello laterale custodito da una sonnolenta SS che li lascio’ passare.

Si incamminarono su una strada e poi si nascosero tra i cespugli in attesa del buio. Per nove notti marciarono sotto la copertura delle tenebre verso la casa di un zio di Bielecki in un villaggio non lontano da Cracovia.

Cybulska fu poi nascosta presso una fattoria vicina, Bielecki decise di nascondersi a Cracovia. Dividersi rappresentava una possibilita’ in piu’ di sfuggire alla cattura da parte dei nazisti. La coppia trascorse l’ultima notte insieme sotto un albero di pere in un frutteto. Salutandosi si promisero di incontrarsi subito dopo la guerra.

Quando i sovietici nel gennaio 1945 liberarono Cracovia, Bielecki lascio’ il nascondiglio in citta’ e percorrendo 40 chilometri lungo strade coperte di neve si diresse verso la fattoria per incontrare Cybulska.

Arrivo’ con quattro giorni di ritardo.

Cybulska, non consapevole che l’area in cui lei era stata nascosta era stata liberata tre settimane prima di Cracovia, non vedendolo arrivare penso’ che fosse morto oppure che aveva cambiato idea.

Decise di andare a Varsavia per poi proseguire per gli Stati Uniti dove aveva uno zio.  Sul treno incontro’ un uomo ebreo, David Zacharowitz, e i due iniziarono una relazione e alla fine si sposarono. Si diressero verso la Svezia e poi dallo zio a New York, che li aiutò ad avviare un attivita’ di gioielleria. Zacharowitz mori’ nel 1975.

In Polonia, anche Bielecki si creo’ una famiglia e lavoro’ come direttore di una scuola di meccanica. Non ebbe piu’ notizie di Cybulska e nemmeno ebbe il modo di trovarla.

Cybulska spero’ sempre di tornare nella sua citta’ natale e anche di trovare Jurek (Jerzy) vivo.

La casualita’ rese il suo desiderio realta’..

Mentre parlava con la sua donna delle pulizie polacca nel 1982, Cybulska racconto’ la sua storia della fuga da Auschwitz.

La donna rimase allibita.

“Conosco la storia, ho visto un uomo nella televisione polacca raccontare di essere fuggito con la sua fidanzata ebrea da Auschwitz”, disse la donna delle pulizie a Cybulska.

Trovato il numero di telefono, una mattina del maggio 1983 il telefono squillò nell’appartamento di Bielecki a Nowy Targ.

“Ho sentito qualcuno ridere – o piangere – al telefono e poi una voce femminile ha detto Juracku, sono io, la tua piccola Cyla’” ricorda Bielecki.

Poche settimane dopo si incontrarono all’aeroporto di Cracovia. Lui porto’ 39 rose rosse, una per ogni anno di separazione. Cybulska ritorno’ molte altre volte in Polonia e insieme visitarono il Memoriale di Auschwitz e la famiglia dei contadini polacchi che l’avevano nascosta.

Cybulska chiese alla fine a Jerzy di lasciare la moglie per seguirla in America e vivere sempre insieme. Jerzy rifiuto’ in quanto non poteva abbandonare il suo adorato figlio. Lei tornò a New York lasciandogli un biglietto con scritto: “Non tornerò più Jurek”.

Non si sono mai più incontrati e lei non rispose alle sue lettere.

Cybulska mori’ alcuni anni dopo a New York nel 2006.  Bielecki mori’ nel 2011.

Nel 1985, Yad Vashem di Gerusalemme ha assegnato a Bielecki il titolo di giusto tra le nazioni per aver salvato Cybulska.

“Sono molto innamorato di Cyla,” disse Bielecki. “Ho pianto molto dopo la guerra perche’ non era con me, l’ho sognata di notte e mi sono svegliato piangendo”.

Il destino ha deciso per noi, ma lo rifarei ancora.

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La solitudine

Autore: Halina Ołomucka (Prima delle selezione) Fot. http://auschwitz.org/galeria/sztuka-obozowa-i-poobozowa/

„La parte peggiore , era la solitudine all’interno di questa massa umana . I volti cambiavano molto velocemente; le persone morivano ogni giorno . Era impossibile ricordare e riconoscere chiunque .”

Jakób Wolman.

Deportato ad Auschwitz con un trasporto di Ebrei dalla Slovacchia il 29 aprile 1942 gli fu assegnato il numero di registrazione 33611. Fu impiegato presso l’ospedale del Campo di Auschwitz I. Nel mese di gennaio del 1945 rimase nel Campo e a liberazione avvenuta si fermo’ occupandosi dei prigionieri malati.

19 luglio1943.. 74 anni fa. Il ricordo di 12 innocenti

Il 19 luglio del 1943 sul piazzale antistante le cucine del Campo ad Auschwitz I venne montata con un binario del treno sorretto da tre pali di legno una forca collettiva con 12 cappi. Dopo l’appello serale, dal bunker del Blocco 11 vennero portati dodici prigionieri della squadra addetta ai rilevamenti esterni incatenati e vestiti solo con abiti di fustagno. La loro colpa, la fuga di tre prigionieri del Kommando Rilevamento, avvenuta verso la meta’ del 1943. I tre fuggirono dal loro posto di lavoro, nella regione di Skidziń e Wilczkowice. Essendo risultato dalle indagini che altri detenuti del Kommando erano al corrente della fuga, il comandante del Campo Rudolf Hoss fece domanda di condannare anche questi a morte come deterrente nei confronti degli altri detenuti. D’accordo con la richiesta, Himmler ordino’ di impiccare pubblicamente in quest’occasione anche alcuni prigionieri rinchiusi nelle celle. Si trattava di Stanisław Stawiński (n. 6569), Czesław Marcisz (n. 26891), Janusz Skrzetuski-Pogonowski (n. 253), Edmund Sikorski (n. 25419), Jerzy Woźniak (n. 35650), Jozef Wojtiga (n. 24740), Zibigniew Foltański (n. 41664), Bogusław Ohrt (n. 367), Leon Rajzer (n. 399), Tadeusz Rapacz (n. 36043), Jozef Gancarz (n. 24538) e Mieczysław Kulikowski (n. 25404). Ai prigionieri condannati venne messo il cappio al collo, quindi il comandante Rudolf Hoss uscendo dalle fine del gruppo delle SS inizio’ a leggere la sentenza. Prima che riesca a finirla, il prigioniero Janusz Skrzetuski, in segno di protesta, fa cadere lo sgabello sotto i suoi piedi. Altri tentarono di imitarlo ma ufficiali e sottufficiali delle SS corsevo dagli altri, levando gli sgabelli sotto di loro ed eseguirono cosi’ la condanna.

Davanti alla forca visitando il Campo si possono vedere i volti e leggere i nomi dei 12 giovani polacchi. Ogni giorno nelle nostre visite raccontiamo questo episodio, sicuramente per ricordare il loro sacrificio ma anche per ricordare che la resistenza non e’ sempre un qualcosa di violento od armato, a volte e’ fatta di gesti e quello fatto da Janusz Skrzetuski-Pogonowski e i compagni e’ stato un grande gesto di resistenza. E poi… dove tutto e’ proibito tutto e’ gesto di resistenza.

Janusz Skrzetuski-Pogonowski

Janusz Skrzetuski-Pogonowski lavorando in un comando all’esterno del Campo riuscira’ ad inviare e ricevere lettere clandestinamente alla famiglia. Inoltre insieme ad altri compagni rischiando la vita riuscira’ a far entrare nel Campo medicine, cibo e altro necessario ai prigionieri. Le lettere conservate dalla famiglia sono state raccolte in un libro disponibile anche in lingua italiana dal titolo „Le lettere da Auschwitz” di Janusz Skrzetuski-Pogonowski.

Frammenti della lettera scritta il 4 settembre 1942 ai famigliari.

” Carissimi! Due settimane fa ho ricevuto la lettera di Andrzej. Mi ha fatto molto piacere la notizia delle vostre nozze. Peccato solo che non ho potuto essere con Voi per condividere la vostra felicita’. Ma forse ormai tra non molto ci potremo rivedere.  Proprio oggi sono tre anni che per l’ultima volta ho visto Papa’. Dio, quando desidero vederlo. Sara’ per me il momento di piu’ grande felicita’ quando sara’ passata questa schiavitu’. […]

Ho gia’ introdotto nel Campo alcune migliaia di ampolle con cui sono state certamente salvate molte persone. Benche’ questo comporta dei rischi, tuttavia nella miseria e’ necessario dare una mano anche agli altri. […]

Concludo, per ora. Vi abbraccio tutti con molto affetto.

Il Vostro Janusz

Oświecim 4. IX.42  “

Auguri Sami Modiano! Mazal Tov!

 

Auguri di buon compleanno a Sami Modiano che oggi compie 87 anni.

Samuele Modiano e’ nato a Rodi (all’epoca provincia italiana) il 18 luglio 1930. Viene deportato nel Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz il 16 agosto 1944 insieme al papa’ Giacobbe e alla sorella Lucia. Lui e’ unico a sopravvivere della sua famiglia.

„Ho visto l’inferno, coi miei occhi di ragazzino. Sono qui con voi e racconto perche’ non voglio che i vostri occhi vedano quello che i mei hanno visto.”     Sami Modiano

Instancabile testimone che ogni anno accompagna  giovani italiani nel centro di sterminio.

Un valore aggiunto anche per noi educatori impegnati ogni giorno nel racconto di quanto accadde nel piu’ grande centro di sterminio degli ebrei provenienti dai vari paesi europei di Auschwitz – Birkenau.

Ma oggi e’ il suo compleanno!

Mazal Tov Sami!

Luna, perche’ mandare qui i tuoi raggi?

Fot. Antonella

„ […] Perche’ splendere oggi, con tutto il tuo chiarore e il tuo incanto? Dovresti velarti di nuvole di dolore. E non offrire piu’ la tua luce a questo mondo. Dovresti piangere assieme alle vittime, fuggire dal mondo, scomparire nel cielo piu’ alto e non mostrarti mai piu’ a questa umanita’ maledetta. Che regni per sempre l’oscurita’. Che un dolore eterno cali sul mondo, come al mio popolo costretto ad un dolore senza fine. Il mondo intero non e’ degno, l’umanita’ intera non e’ piu’ degna di godere della tua luce! Devi cessare di rischiarare questa terra, dove l’uomo e’ trattato con tanta ferocia e barbarie, senza motivo ne ragione. Non devono vedere piu’ la tua luce gli uomini che si sono trasformati in bestie selvagge e sanguinarie. Per loro, per loro non dovresti piu’ brillare. […] ”

Frammento tratto dagli scritti di Salmen Gradowski membro del Sonderkommando, scoperti nel terreno di Auschwitz II – Birkenau dopo la liberazione del Campo.

Gli scritti sono stati raccolti in un libro dal titolo „Sonderkommando. Diario di un crematorio di Auschwitz” Salmen Gradowski, Philippe Mesnard, Carlo Saletti – Edito da Marsilio

Jozef Kowalski „Non vi preoccupate per me…”

Don Jozef Kowalski Fot. http://www.salesiansireland.ie

Jozef Kowalski nacque il 13 marzo 1911 a Siedliska vicino a Rzeszow. Settimo di nove figli nel 1927 entrò nel noviziato salesiano e divenne prete nel 1938. Il 23 maggio 1941, insieme ad altri salesiani che lavoravano nella parrocchia di Cracovia Debniki, fu arrestato dai nazisti tedeschi che ritenevano pericoloso per il Reich il loro impegno verso il prossimo. Furono tutti deportati nel Campo di Auschwitz.

Divenne il numero di matricola nel Campo 17350. Nonostante la crudele realta’ del Campo don Kowalski mantenne la sua umanita’ e impegno sostenendo e consolando gli altri prigionieri in difficolta’. Pur sapendo di rischiare severe punizioni e la vita, quando possibile celebro’ l’eucarestia e somministro’ sacramenti. Accompagno’ i moribondi dando loro l’assoluzione verso la strada per l’eternita.

Nella sua prima lettera inviata dal Campo scrisse „Non vi preoccupate per me, io sono nelle mani di Dio.”

Verso la fine del mese di maggio del 1942 nel Campo si era diffusa la notizia del trasferimento di alcuni sacerdoti nel Campo di concentramento di Dachau, dai prigionieri considerato „migliore” e con possibilita’ maggiori di sopravvivenza. Nel gruppo dei 60 sacerdoti inseriti nel trasporto fu indicato anche Don Kowalski.

Lui tuttavia non partira’ mai da Auschwitz.

Poco prima della partenza infatti una SS gli ordino’ di calpestare il suo rosario. Don Kowalski si rifiuto’ di farlo. Per questa ragione fu inviato alla compagnia penale dove venne torurato e umiliato.

Il 3 luglio 1942 durante uno scavo dei fossati di scolo delle acque un capo’ lo maltratto’ violentemente gettandolo in un profondo fossato paludoso. Tirato fuori e percosso con un bastone fu portato vicino ad una botte di legno dove gli fu ordinato di salire sopra e fare la sua Omelia. Don Kowalski salendo ed inginocchiandosi, non ubbidendo all’ordine imposto, recito’ il Padre Nostro, l’Ave Maria e la Salve o Regina. In questo contesto in particolare le parole del Padre Nostro colpirono profondamente tutti i prigioni presenti. Pur massacrato dai colpi dei carnefici mantenne la sua forza d’animo e la sua fede.

Tornato nel blocco con la sua Umanita’ inviolata, nella notte venne prelevato dal blocco dal capo’  Józef Miast. Prima di abbandonare la stanza, lascio’ il suo pezzo di pane ai compagni dicendo:”Pregate per me e i mei persecutori”.

Dopo queste parole fu picchiato violentemente e annegato all’interno di una botte piena di feci.

Il 13 giugno del 1999, Papa Giovanni Paolo II che aveva conosciuto personalmente don Jozef Kowalski lo nomina Beato Martire della Chiesa Cattolica.

Il suo gesto cosi’ come quello di altri sacerdoti, rabbini e gente comune furono motivo di forza e speranza per tutti i prigionieri. Mantenere la propria umanita’ nel Campo rappresentava un grande gesto di resistenza verso il progetto nazista.

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