Giacomo Terracina (detto Ciccio) era nato il 28 ottobre 1915 a Roma. Sportivo, giocava nella nazionale italiana di pallavolo ed era considerato un ottimo giocatore.
Si sposo’ con Enrica Di Segni nata a Roma il 27 maggio 1925, che diede alla luce la loro prima figlia Virginia il 2 giugno 1943.
Dopo pochi mesi dalla nascita mamma e bimba furono arrestate durante la razzia del 16 ottobre 1943 nel ex ghetto di Roma. Giacomo, che non si trovava in quel momento in casa, saputo dell’arresto le raggiunse nel disperato tentativo di salvarle. Venne anche lui arrestato.
Il 18 ottobre furono caricati alla stazione Tiburtina su un vagone piombato e diretti verso il Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz-Birkenau.
Nel convoglio di 18 vagoni furono rinchiuse 1.023 persone, la maggioranza fu uccisa immediatamente all’arrivo a Birkenau il 23 ottobre 1943, tra loro la piccola Virginia di soli 4 mesi. Il suo papa’ e la sua mamma morirono nei mesi successivi.
Una giovane famiglia il cui sogno fu spezzato per sempre dalla mano assassina nazista fascista.
Oggi, in via del Tempio 4 a Roma si trovano davanti alla casa dove abitavano le tre pietre d’inciampo in loro ricordo.
In particolare oggi e’ importante „inciampare” su queste pietre al fine di ricordarci di cosa e’ capace l’uomo. Trasformare la Memoria emotiva in voglia di conoscenza. Attraverso lo studio della storia dobbiamo capire quali furono i segnali e motivi (tutti sbagliati e non condivisibili) che portarono a questo, cosi’ da saperli riconoscere nel nostro presente e poter indirizzare il nostro futuro nella giusta direzione. La “Memoria dinamica”.
“È accaduto, quindi potrebbe accadere di nuovo…” (Primo Levi).
Il luogo di arrivo del primo trasporto italiano da Roma del 23 ottobre 1943
“[…]Se il fascismo avesse prevalso, l’Europa intera si sarebbe trasformata in un complesso sistema di campi di lavoro forzato e di sterminio, e quelle parole, cinicamente edificanti, si sarebbero lette sulla porta di ingresso di tutte le officine e di tutti i cantieri.[…]” Primo Levi
“[…]Siamo rimasti scioccati dal cinismo dei tedeschi. Hanno scritto “il lavoro rende liberi”, ma noi abbiamo capito subito vedendolo con i nostri occhi che il lavoro ad Auschwitz era il mezzo per uccidere. Così presto abbiamo messo insieme il detto “Arbeit Macht Frei durch den Schornstein”, cioè “il lavoro rende liberii [verso l’uscita] attraverso il camino”. La frase “Arbeit macht frei” era per noi un simbolo dell’inferno.[…]” Kazimierz Albin
“[…]Sono passato attraverso il cancello del campo. Sì, ora ho capito l’iscrizione sul cancello! Oh sì, davvero … il lavoro libera … ti libera dal Campo.. dalla tua coscienza, io l’ho appena sperimentato. Libera l’anima dal tuo corpo guidandolo verso il crematorio[…] “. Witold Pilecki
“[…]Quando ho visto la scritta “Arbeit macht frei”, ho pensato che non sarebbe stato male, perché non temevo il lavoro e probabilmente sarei stata liberata presto. Aiutavo i miei nonni nella raccolta del fieno[…]”. Zofia Posmysz-Piasecka
1.300.000 deportati nel Campo di Auschwitz, 1.100.000 uccisi; 6.000.000 di Ebrei uccisi per mano nazista… questo sentiamo quando si parla di Shoah.
Non numeri, ma persone che come noi avevano un nome e cognome. Di molti non si conoscono piu’ nemmeno quelli. Scomparsi per sempre.
Intere famiglie e comunita’ furono cancellate dalla mano assassina nazista e quindi nessuno potra’ mai dire: manca questa persona oppure quella.
Lo sappiamo – OGNI PERSONA HA IL SUO NOME.
Nel blocco 27 del Campo di Auschwitz I e’ presente un libro di alcuni metri con circa 4 milioni di nomi e cognomi.
Quante storie, vite, sogni e progetti racchiusi in quelle pagine e in quei pochi metri. Leggerli tutti puo’ sembrare o forse lo e’ impossibile ma ognuno di loro meriterebbe di essere ricordato con il suo nome e cognome.
Oggi, durante la visita ho raccontato e abbiamo ricordato alcuni di loro:
Irina Di Veroli (nonna Rina), Fatina Sed, Settimia Spizzichino con la sorella Giuditta, Servadio Moscato (zi Moro), Raimondo Di Neris, Piero Terracina, Shlomo Venezia, Leone Di Veroli, Rubino Romeo Salmoni, Ida Marcheria, Primo Levi, Liana Millu, Arminio Wachsberger, Lilly Jacob, Andra Bucci, Tatiana Bucci, Sami Modiano, Alberto Sed, Lello di Segni, Ewa Mozez Kor, Ginette Kolinka e anche tutti coloro che scesi dal treno immediatamente furono inviati alle camere a gas ed uccisi. I „Sommersi”.
“Altejudenrampe”. La rampa d’arrivo del convoglio italiano del 14 novembre 1943
Il 14 novembre 1943 con un trasporto del RSHA da Roma giunsero al Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz-Birkenau 400 uomini, donne e bambini ebrei, arrestati a Firenze e Bologna. Dopo la selezione, 13 uomini (con i numeri da 162770 a 162782) e 94 donne (con i numeri 67852 a 67945) furono registrati nel Campo. Le altre 243 persone furono uccise nelle camere a gas. (Dal Kalendarium di Danuta Czech).
Il convoglio era partito da Firenze e Bologna il 9 novembre 1943.
Alla liberazione risultava sopravvissuta un’unica deportata: Pelletier Alice (nr. reg. 67861).
Auguri di buon compleanno a Piero Terracina che oggi compie 89 anni.
Piero Terracina e’ nato a Roma il 12 novembre 1928. A seguito di una segnalazione di un delatore (una vita valeva 5.000 lire, questa la tariffa riconosciuta ad un italiano che denunciava un altro italiano di cultura e religione ebraica) viene deportato nel Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz dove arriva il 23 maggio 1944 insieme ai genitori, la sorella Anna, i fratelli Cesare e Leo, lo zio Amedeo e il nonno Leone David.
Degli 8 componenti della sua famiglia, Piero Terracina sarà l’unico a fare ritorno in Italia.
“La Memoria non è il ricordo. Il ricordo si esaurisce con la fine della persona che ricorda quello che ha vissuto. La Memoria è come un filo che va dal passato al presente ma poi deve raggiungere anche il futuro. Quindi il futuro è condizionato dal passato e soltanto se faremo memoria e la trasmetteremo poi alle nuove generazioni, soltanto così possiamo sperare che il passato non torni.” Piero Terracina
Instancabile Testimone della Shoah soprattutto nelle scuole e fra i giovani italiani e’ diventato un importante punto di riferimento per piu’ generazioni di studenti.
Un valore aggiunto anche per noi educatori impegnati ogni giorno nel racconto di quanto accadde nel piu’ grande centro di sterminio degli ebrei provenienti dai vari paesi europei di Auschwitz – Birkenau.
Monumento in ricordo della Comunita’ ebraica di Będzin
Bedzin e’ una città situata nella Polonia sud-occidentale a circa 50 km da Oświęcim.
La Comunita’ ebraica era presente a Bedzin fin dal Medioevo, ma i primi documenti che comprovano la presenza risalgono al 1564. Il primo privilegio reale, direttamente riguardante la popolazione ebraica di Będzin, fu un documento di Stefan Batory del 1583, in cui il monarca permise agli ebrei di stabilirsi all’interno delle mura e di commercializzare sullo stesso piano dei commercianti cristiani.
Sinagoga di Będzin. Fot. http://www.bedzin.pl/default.aspx?docId=1345
Probabilmente a metà del XVI secolo fu eretta la prima sinagoga di legno e il primo cimitero. Fin dall’inizio del XIX secolo, il numero degli ebrei residenti in citta’ aumentava gradualmente.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, la comunita’ ebraica contava circa 28.000 persone. I tedeschi occuparono la città il 4 settembre 1939. Cinque giorni dopo diedero fuoco alla Grande Sinagoga. Era il 9 settembre 1939, durante lo shabbat quando gli ebrei erano riuniti per la preghiera nell’edificio.
Prima del 1939 il numero degli ebrei a Będzin era superiore al 50% della popolazione, dopo la guerra non rimase nessuno.
Oggi dove sorgeva la Grande Sinagoga si trova un monumento a forma di cubo che ricorda la Comunita’ ebraica della citta’ scomparsa per mano nazista. (foto.)
Monumento in ricordo della Comunita’ ebraica di Będzin
Charlotte Delbo, fu arrestata nel marzo del 1942 dai tedeschi insieme al marito che venne fucilato subito dopo la cattura. Lei, dopo un breve periodo in carcere, il 23 gennaio 1943 venne deportata con altre 229 donne prima ad Auschwitz-Birkenau e poi a Ravensbrück. Attraverso le sue opere ha lasciato una grande testimonianza di vita e di resistenza.