„ […] Perche’ splendere oggi, con tutto il tuo chiarore e il tuo incanto? Dovresti velarti di nuvole di dolore. E non offrire piu’ la tua luce a questo mondo. Dovresti piangere assieme alle vittime, fuggire dal mondo, scomparire nel cielo piu’ alto e non mostrarti mai piu’ a questa umanita’ maledetta. Che regni per sempre l’oscurita’. Che un dolore eterno cali sul mondo, come al mio popolo costretto ad un dolore senza fine. Il mondo intero non e’ degno, l’umanita’ intera non e’ piu’ degna di godere della tua luce! Devi cessare di rischiarare questa terra, dove l’uomo e’ trattato con tanta ferocia e barbarie, senza motivo ne ragione. Non devono vedere piu’ la tua luce gli uomini che si sono trasformati in bestie selvagge e sanguinarie. Per loro, per loro non dovresti piu’ brillare. […] ”
Frammento tratto dagli scritti di Salmen Gradowski membro del Sonderkommando, scoperti nel terreno di Auschwitz II – Birkenau dopo la liberazione del Campo.
Don Jozef Kowalski Fot. http://www.salesiansireland.ie
Jozef Kowalski nacque il 13 marzo 1911 a Siedliska vicino a Rzeszow. Settimo di nove figli nel 1927 entrò nel noviziato salesiano e divenne prete nel 1938. Il 23 maggio 1941, insieme ad altri salesiani che lavoravano nella parrocchia di Cracovia Debniki, fu arrestato dai nazisti tedeschi che ritenevano pericoloso per il Reich il loro impegno verso il prossimo. Furono tutti deportati nel Campo di Auschwitz.
Divenne il numero di matricola nel Campo 17350. Nonostante la crudele realta’ del Campo don Kowalski mantenne la sua umanita’ e impegno sostenendo e consolando gli altri prigionieri in difficolta’. Pur sapendo di rischiare severe punizioni e la vita, quando possibile celebro’ l’eucarestia e somministro’ sacramenti. Accompagno’ i moribondi dando loro l’assoluzione verso la strada per l’eternita.
Nella sua prima lettera inviata dal Campo scrisse „Non vi preoccupate per me, io sono nelle mani di Dio.”
Verso la fine del mese di maggio del 1942 nel Campo si era diffusa la notizia del trasferimento di alcuni sacerdoti nel Campo di concentramento di Dachau, dai prigionieri considerato „migliore” e con possibilita’ maggiori di sopravvivenza. Nel gruppo dei 60 sacerdoti inseriti nel trasporto fu indicato anche Don Kowalski.
Lui tuttavia non partira’ mai da Auschwitz.
Poco prima della partenza infatti una SS gli ordino’ di calpestare il suo rosario. Don Kowalski si rifiuto’ di farlo. Per questa ragione fu inviato alla compagnia penale dove venne torurato e umiliato.
Il 3 luglio 1942 durante uno scavo dei fossati di scolo delle acque un capo’ lo maltratto’ violentemente gettandolo in un profondo fossato paludoso. Tirato fuori e percosso con un bastone fu portato vicino ad una botte di legno dove gli fu ordinato di salire sopra e fare la sua Omelia. Don Kowalski salendo ed inginocchiandosi, non ubbidendo all’ordine imposto, recito’ il Padre Nostro, l’Ave Maria e la Salve o Regina. In questo contesto in particolare le parole del Padre Nostro colpirono profondamente tutti i prigioni presenti. Pur massacrato dai colpi dei carnefici mantenne la sua forza d’animo e la sua fede.
Tornato nel blocco con la sua Umanita’ inviolata, nella notte venne prelevato dal blocco dal capo’ Józef Miast. Prima di abbandonare la stanza, lascio’ il suo pezzo di pane ai compagni dicendo:”Pregate per me e i mei persecutori”.
Dopo queste parole fu picchiato violentemente e annegato all’interno di una botte piena di feci.
Il 13 giugno del 1999, Papa Giovanni Paolo II che aveva conosciuto personalmente don Jozef Kowalski lo nomina Beato Martire della Chiesa Cattolica.
Il suo gesto cosi’ come quello di altri sacerdoti, rabbini e gente comune furono motivo di forza e speranza per tutti i prigionieri. Mantenere la propria umanita’ nel Campo rappresentava un grande gesto di resistenza verso il progetto nazista.
Margarita Ferrer, Rudolf Frieme e il figlio Edi. Fot. www.auschwitz.org
Il 18 marzo del 1944 alle ore 11 nel Campo di concentramento di Auschwitz, presso l’ufficio del Registro dove di norma venivano compilati i certificati di morte dei prigionieri, un meccanico austriaco Rudolf Friemel (nr. 25173) sposò Margarita Ferrer inviata al Campo per un giorno e una notte dalla Germania dove si trovava ai lavori forzati. Portò con se anche il figlio Edi.
Fu l’unico matrimonio celebrato nel Campo.
La coppia si conobbe in Spagna, dove Friemel combattè contro le forze del generale Franco nelle brigate internazionali. Dopo aver perso la guerra fuggirono in Francia dove si rincontrarono in un Campo di internamento. Furono poi separati quando la donna era gia’ in stato di gravidanta.
Margarita fu infine inviata ai lavori forzati in Germania. Friemel venne internato ad Auschwitz dove fu attivo nel movimento di resistenza. Come austriaco e meccanico delle SS ottenne con successo il permesso di legalizzare il suo rapporto con Margarita e la sposò nel Campo il 18 marzo 1944.
Rudolf, tentò di fuggire da Auschwitz ma fu catturato ed impiccato nel Campo il 30 dicembre del 1944, pochi giorni prima della liberazione insieme ad altri quattro fuggitivi. I nazisti gli fecero indossare la stessa camicia da sposo indossata al suo matrimonio.
Margarita e il bambino riuscirono a sopravvivere alla guerra.
La foto in questo articolo, fu scattata dal fotografo prigioniero Wilhelm Brasse nello studio fotografico del Campo di Auschwitz.
Appello 1941/1942 Autore: Wincenty Gawron Olio, 87 x 105 cm, USA 1964. Zbiory Państwowego Muzeum Auschwitz-Birkenau. Fot. http://auschwitz.org/galeria/sztuka-obozowa-i-poobozowa/
David Wongczewski ebreo polacco e’ stata la prima vittima del Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz-Birkenau. Mori’ nella notte tra il 6 il 7 luglio 1940 durante l’appello piu’ lungo registrato nel Campo durato 20 ore. „Strafappell” (appello di punizione) ordinato dopo la fuga dal Campo di Tadeusz Wiejowski (prima fuga da Auschwitz).
Si conosce poco circa la storia di David Wongczewski. Arrivo’ al Campo di Auschwitz con il secondo trasporto di polacchi dalla prigione di Wiśnicz Nowy. Le sue condizioni fisiche gia’ all’arrivo al Campo erano pessime, soffriva di tubercolosi e su tutto il corpo presentava tracce di torture disumane. Al suo arrivo venne inviato direttamente all’infermeria del Campo.
All’appello di punizione parteciparono tutti i prigionieri registrati nel Campo (1.311 persone). David Wongczewski non sopravvisse diventando la prima vittima uccisa per mano nazista nel Campo di concentramento di Auschwitz.
Stella Muller-Madej era nata il 5 febbraio 1930 da una famiglia benestante ebrea di Cracovia. L’avevo conosciuta del 2010 a Cracovia, viveva da sola in un appartamento a qualche chilometro dal centro storico della citta’. Allo scoppio della seconda guerra mondiale aveva nove anni. Nel 1941 insieme a tutta la sua famiglia fu confinata nel ghetto e da lì poi nel 1942 inviata al campo di concentramento di Plaszow. Lei e’ sopravvissuta in quanto inserita insieme a tutta la sua famiglia nella lista di Schindler.
Diceva sempre che il suo corpo era diviso in due parti: quella „normale” e quella di „Auschwitz”. Sentendola al telefono oppure andando in visita capivi subito con quale parte si era svegliata quel giorno.
Nell’ottobre 1944 all’età di 14 anni, Stella fu inviata ad Auschwitz e registrata con il numero 76.372. Grazie agli sforzi e all’intervento di uno zio, lei e la sua famiglia furono inclusi nella lista di Schindler ed insieme ad altri prigionieri inviata alla fabbrica di Brunnlitz (Repubblica Ceca) dove lavoro’ come tornitore. Il campo di Brunnlitz fu liberato dalle truppe sovietiche l’8 maggio 1945.
Per molto tempo dopo il suo ritorno dal Campo, ebbe problemi di apprendimento e difficoltà di adattamento alla vita normale. All’età di 17 anni iniziò la scuola secondaria e nonostante le difficoltà, alla fine riuscì a superare gli esami finali. Trascorse alcuni anni negli Stati Uniti, ma in seguito decise di tornare in Polonia per stare con i suoi genitori.
A causa delle gravi lesioni subite all’anca ed alla colonna vertebrale durante il periodo di permanenza ad Auschwitz negli anni ha subito diverse operazioni e cure per alleviare le sofferenze fisiche che di fatto non l’hanno mai abbandonata.
Ha raccontato i suoi ricordi nel libro intitolato „ Dziewczynka z listy Schindlera” (‘La bambina nella lista di Schindler’) che è stato tradotto in 9 lingue. Un racconto scritto guardando agli avvenimenti con gli occhi di bambina. Il suo linguaggio semplice riesce a trasmettere tutta la crudelta’ e la pazzia umana degli eventi vissuti.
Stella Muller Madej muore a Cracovia il 29 gennaio 2013. Il suo funerale verra’ celebrato il 7 febbraio. E’ sepolta nel cimitero di Cracovia Rakowicki.
Incontrando Stella, nei suoi occhi ho potuto leggere e dalle sue parole ho potuto ascoltare la grande sofferenza vissuta ma anche la grande speranza che cio’ che e’ stato non dovra’ piu’ accadere!
Ho visto in lei una persona dal fisico fragile ma con una grande forza e voglia di gridare MAI PIU’!!
Alcuni suoi pensieri…
“… Grazie a due cose sono sopravvisuta. La prima quando siamo stati presi dal ghetto e trasferiti al Campo di Plaszow. I nazisti avevano istituito il cosiddetto Kinderheim e promesso non so che cosa. La mia mamma si rifiuto’ assolutamente di mandarmi là sostenendo che avevo tre anni in piu’ di quelli reali. Lavorai con gli adulti. Non mi lascio’ portare al Kinderheim. Come è noto, nel ’44 trasportarono tutti i bambini del Kinderheim da Plaszow ad Auschwitz dove la loro vita si concluse nelle camere a gas. Solo pochi bambini più o meno della mia età riuscirono a nascondersi nelle latrine.
La seconda cosa, del tutto accidentale, meravigliosa ed insolita fu che quasi per caso fummo inseriti nella lista di Schindler. Un mio zio architetto (prigioniero nel campo) grazie ad un collega, riusci’ a far inserire nella lista mia mamma, mio papa’ mio fratello e me. Quello che dirò non è certamente poetico, ma ripetero’ fino alla fine dei miei giorni che la prima volta mi è stata data la vita dai miei genitori e la seconda volta da Oskar Schindler.
Nel ’44 vi furono circa 700 donne trasportate da Plaszow ad Auschwitz, tra queste 300 erano sulla sua lista. Schindler combatte’ per noi come un leone, perché non voleva farci morire ad Auschwitz. Gli fu offerto migliore e più sano ‘materiale’ (umano) proveniente dai nuovi trasporti, a differenza di noi, che avevamo trascorso gia’ diversi anni nel Campo. Ma lui ci ha portato fuori …
Quando ero ad Auschwitz mi ammalai gravemente. E questa e’ stata un’altra cosa incredibile. Per non so quale miracolo riuscii ad uscire viva dal blocco dell’epidemie. Un amico di un nostro conoscente falsifico’ il mio fascicolo scrivendo che ero arrivata li per errore. In questo modo, circa un’ora prima della partenza dal raccordo ferroviario del convoglio fui iscritta al trasporto. Si sapeva che in quella infermeria per chi non moriva naturalmente lo attendeva la camera a gas.
Finii li perché dopo il mio arrivo ad Auschwitz, fummo accompagnati alla cosiddetta sauna. Dopo averci fatto spogliare ci misero in questa sauna. Le luci si spensero, la porta in metallo fu chiusa a chiave e le trecento donne impazzirono in quanto pensarono che sarebbe uscito il gas. Una di loro presa dal panico mi graffio’ in modo violento. Queste ferite si infettarono ben presto a causa dei pidocchi. Fu cosi’ che mi ritrovai nel blocco delle epidemie. C’era un medico in quel blocco (una donna ebrea che aveva perso una figlia della mia età) e lei si prese cura di me. Dopo qualche tempo iniziai a stare meglio. Da lì fui selezionata dal dottor Mengele. Eravamo tutti nudi. Era dicembre e faceva un gran freddo. Avevo solo una coperta sulla schiena. La donna medico mi disse „ Ricordati di tenere la coperta all’altezza delle gambe in modo che non si veda che la tua ferita non e’ rimarginata.” Cosi’ feci e Mengele diede la sua approvazione a lasciarmi andare per il trasporto.
Poi ci fu Brunnlitz, Campo di Schindler. Ci tenne in vita eroicamente. Per quasi due mesi, non ottenne alcuna razione di cibo per noi. Nonostante questo, riusci’ ad ottenere alcune piccole quantita’ di crusca, farina e altre cose. Non credo che la nostra fame potesse essere paragonata a quella patita ad Auschwitz o a Plaszow. Anche se le persone hanno sofferto la fame e gli stenti, lui alla fine ci ha salvati…”
Nel Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz- Birkenau furono deportati Rom e Sinti da tutta l’Europa. Il gruppo piu’ numeroso fu deportato dall’Austria e Germania (circa i 2/3, 14.000 persone); altri dal Protettorato di Cechia e Moravia (circa 4.500 persone) e 1.300 Rom dalla Polonia occupata. Vanno poi aggiunti circa 1.700 Rom provenienti da Bialistock (Polonia) che sospettati di tifo non furono registrati ed inviati direttamente nelle camere a gas e uccisi. In totale furono deportate circa 23.000 persone di questi circa 11.000 i bambini (9.500 al di sotto dei 14 anni) e circa 380 furono i bimbi nati nel Campo. 21.000 persone circa furono uccise ad Auschwitz – Birkenau.
“Porrajmos” “Annientamento – Distruzione” il genocidio a volte dimenticato di Rom e Sinti.
Ho scritto una serie di numeri e cifre che in realta’ sono persone, nomi e cognoni ed ognuno con una sua storia. Di alcuni le conosciamo di altri purtroppo e’ andata perduta anche la Memoria. Tra quelle conosciute oggi vorrei brevemente raccontare la storia di “Unku”.
Erna Lauenburger “UNKO” Foto Weltzel Hanns
Erna Lauenburger “Unku” era una ragazza Sinti tedesca nata il 4 marzo 1920 a Berlino-Reinickendorf (Germania). Unku divento’ famosa perché fu la protagonista di un libro per bambini pubblicato nel 1931 dallo scrittore-Grete Weiskopf Bernheim (il cui pseudonimo era Alex Wedding) dal titolo “Ede und Unku”.
Erna e la sua famiglia vivevano negli anni ’20 a Berlino e si trasferirono nei primi anni 30 a Magdeburgo. Erna sposò Otto Schmidt, che fu arrestato dai nazisti nel 1938, quando Unku era in avanzato stato di gravidanza e morì nel campo di concentramento di Buchenwald nel novembre del 1942.
La figlia di Otto e Erna, una bellissima bambina di nome Marie nacque il 25 agosto 1938.
Il 12 Aprile, 1939, Unku a 19 anni di età, fu chiamata dalla polizia giudiziaria, interrogata, le presero le impronte digitali e fu registrata in un file enorme realizzato dal nazista dottor Robert Ritter del „Centro di Ricerca per l’Igiene e la Razza” per il solo fatto della sua origine sinta.
Fotografía dall’ archivo della Polizía criminale di Magdeburgo. Foto Dolumentations und Kulturzentrum Deutscher Sinti und Roma
Dopo la pubblicazione del decreto del 17 ottobre 1939 (decreto di stabilizzazione n. 149 dove Rom e Sinti non possono lasciare il luogo in cui si trovano – festsetzungserlass) Unku cosi’ come molti Sinti del Reich firmo’ il documento dove si proibiva di cambiare il luogo di residenza.
Nel 1941, i nazisti classificarono Unku come “Zingara mista”.
Il 24 settembre 1942 diete alla luce il suo secondo genito Bärbel Lauenburger.
Erna fu rinchiusa nel „Campo di concentramento per zingari” di Magdeburgo, dove condivise la sua vita con centinaia di Sinti- Rom.
Ai primi di marzo del 1943, Unku e la sua famiglia insieme al resto dei Sinti-Rom rinchiusi a Magdeburgo fu deportata nel Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz-Birkenau.
Erna divento’ il nr. Z-633 e i suoi figli, Marie-Z 635 e Bärbel Z-634.
A causa della morte della figlia Marie, Erna non supero’ il dolore e cadde in un profondo stato di degrado, e fu trasferita dallo Zigeunerlager al campo ospedale, Campo che significava solo la morte.
Erna Lauenburger “Unku” mori’ il 2 luglio 1943.
Unku è diventata un simbolo del Porrajmos (Genocidio dei Sinti Rom). La sua perdita simboleggia la perdita di quasi tutta una generazione di giovani Sinti. Sogni e vite spezzate dall’odio e dalla barbarie nazista.
Libro “Ede und unku” 1931
Il libro racconta la storia di amicizia tra un ragazzo tedesco (Ede) figlio della classe operaia e una ragazza tedesca Sinti (Unku) nella città di Berlino. Unku all’epoca aveva 11 anni. La sua famiglia aveva stretto amicizia con l’autore del libro Grete Weiskopf. Libro che fu vietato da Hitler e venne bruciato nella notte del 10 maggio 1933, quando molti tedeschi parteciparono al rogo pubblico per la distruzione dei libri proibiti in Germania. Le cause che portarono al suo divieto erano dovute al fatto che era stato scritto da un autore ebreo Grete Weiskopf-Bernheim (pseudonimo di Alex Wedding), ed anche perche’ la sua protagonista era una ragazza Sinta. Le foto di Ede e Unku presenti nel libro vennero scattate da John Heartfield. Le foto presenti nel libro dimostrano che la trama è di fantasia, ma che si basa su persone reali.
Degli undici Sinti presenti nel libro solo uno sopravvisse all’Olocausto.
25 GIUGNO 1942. La creazione della Compagnia penale femminile fu associata direttamente con una fuga nel giugno 1942 della prigioniera Janina Nowak. I tedeschi per rafforzare la disciplina applicavano la responsabilità collettiva . A tutte le donne venne rasata la testa e il commando fu trasformato in Compagnia penale. Le prigioniere furono messe in un edificio scolastico a Budy. La compagnia era formata da donne polacche , che costituirono la maggioranza e donne ebree francesi, slovacche, russe, ucraine, jugoslave, ceche e tedesche. La caserma dei pompieri che si trovava vicino alla scuola fu trasformata in mensa . L’area venne recintata con filo spinato non collegato all’alta tensione e quattro torri . Le prigioniere lavoravano nello scavo e pulizia degli stagni, la costruzione della ferrovia e della diga sul fiume Vistola .
Le severe condizioni di lavoro e il trattamento crudele delle capo’ per molti si concluse con la morte.
Nella seconda metà del mese di agosto del 1942, 137 prigioniere polacche furono trasferite al Campo di Birkenau . Solo loro riuscirono a sopravvivere delle 200 inviate alla Compagnia penale nel mese di giugno .
Nel mese di aprile 1943, 200 prigioniere polacche furono trasferite nella scuola di Budy . Crearono vari commandi che furono assegnati a lavori nelle fattorie, nei boschi e nella costruzione degli argini sul fiume Vistola . Nel marzo 1944 il numero delle prigioniere aumento’ a 455 ed in periodi di grande lavoro stagionale il numero fu adeguato da un commando che veniva inviato al sottocampo da Birkenau.
…. SE SI PENSA AD AUSCHWITZ COME L’INFERNO,
BUDY RAPPRESENTA IL SUO CERCHIO PIU’ BASSO…
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Con queste parole, l’ex prigioniera numero 7566 Zofia Posmysz ricorda cosa significava far parte della Compagnia penale femminile.
Questa frase racchiude quello che e’ stato il trattamento disumano verso le prigioniere, costrette a fare duri lavori fisici oltre la loro forza, torturate e affamate, disperatamente in lotta per la sopravvivenza.
Per capire fino in fondo “Auschwitz” e’ necessario conoscere la storia e visitare tutti i luoghi legati alla grande fabbrica della morte che Auschwitz rappresentava.
Ieri 25 giugno 2017 presso il sito originale dove era stata creata la Compagnia penale si e’ svolta la cerimonia del 75 anniversario alla presenza di varie autorita’ civili e abitanti del Comune di Brzeszcze.
Il luogo fa parte dei siti preservati dalla “FUNDACJA POBLISKIE MIEJSKA PAMIĘCI” (Fondazione della Memoria dei luoghi collegati ad Auschwitz-Birkenau”).
Da una squadra di lavoro impegnata a raccogliere fieno lungo le rive della Sola, fugge la prigioniera polacca Janina Nowak (n. 7615), internata nel Campo di concentramento di Auschwitz il 12 giugno 1942 con un trasporto collettivo. Dopo aver accertato la fuga, la squadra di lavoro di 200 polacche viene condotta nel Campo per un appello di punizione. Nel Campo femminile arrivano il comandante Hoss, Aumeier, Grabner e Palitzsch. La Sezione Politica conduce un’indagine per raccogliere maggiori particolari sulla fuga. Le detenute vengono minacciate, dicendo loro che alcune saranno uccise. Dopo alcune ore, per telefono, arriva da Berlino l’ordine di assegnare le detenute polacche alla Compagnia disciplinare. Contemporaneamente, si ordina di tagliare i capelli alle detenute non ebree.
Il giorno dopo (25 giugno 1942) verra’ aperta a Budy la Compagnia penale femminile.
Tra gli oggetti preservati dalla „FUNDACJA POBLISKIE MIEJSCA PAMIĘCI” (“Fondazione della Memoria dei luoghi collegati ad Auschwitz-Birkenau”) uno in particolare porta un messaggio chiaro e forte sul male avvenuto nel Campo di concentramento e centro di sterminio nazista tedesco di Auschwitz-Birkenau, il male assoluto, mirato, progettato e realizzato dai nazisti tedeschi contro i più innocenti i Bambini.
Foto by http://auschwitz-podobozy.org/en/
Questa figura di Mickey Mouse „Topolino” in gres porcellanato conosciuta in tutto il mondo e le cui avventure sono familiari sia ai bambini ma anche a noi, adulti; simbolo della gioia, del gioco e dei sogni di ogni bimbo, ritrovata qui ad Auschwitz-Birkenau diventa il simbolo della barbarie umana, l’incubo piu’ grande e la morte.
Bambini incolpevoli e inermi che insieme ai loro genitori o anche soli attraversavano in vagoni, la „Porta della morte” di Birkenau loro ultima fermata di una vita che rappresentava in realta’ l’inizio della loro strada.
„Topolino” spogliato del suo simbolo e privato dei valori umani.
La figura e’ stata ritrovata dopo la guerra nel terreno di Birkenau, nel luogo dove i nazisti gettarono tutti gli oggetti appartenuti alle persone inviate all’uccisione con il gas, considerati inutili e non idonei al riutilizzo. Il „Topolino” ritrovato in base ad ulcune ricerche risulta prodotto negli anni ‘30,
„Topolino” nella sua immagine negli anni e’ cambiato, ma ancora oggi e’ costretto a rappresentare per una parte del mondo la gioia, i sogni il gioco, per l’altra l’infanzia rubata.
Oggi 20 giugno 2017 ho avuto il piacere di guidare nel Campo di concentramento e centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau la Nazionale under 21 italiana di calcio. Li ho accompagnati e abbiamo condiviso piu’ di due ore nel piu’ grande cimitero del mondo, cimitero particolare in quanto senza tombe. Una bella esperienza con ragazzi giovani e molto interessati. Non e’ stata una visita “dovuta” o di “facciata”, in loro ho visto il desiderio di capire il perche’ l’uomo e riuscito ha fare questo ad altri uomini, la voglia di farsi accompagnare nell’orrore umano lasciandosi andare alle emozioni da trasformare poi in voglia di conoscenza. Nei loro occhi e nelle loro espressioni ho rivisto i tanti ragazzi che ogni giorno guido in questo luogo.
Indipendentemente da dove provieni, chi sei e cosa fai nella vita, il Campo di Auschwitz e la sua tragica storia ti portano allo stesso livello emozionale…
La domanda e’ sempre la stessa:”Come e’ potuto accadere?”.